La Storia di Nino e del suo Glioblastoma

A pochi giorni dalla videoconferenza che vedrà la partecipazioni di tre lungo sopravviventi ho ricevuto questa storia scritta da Daria che vi riporto qui di seguito. Daria ci conduce attraverso il viaggio emotivo e la lotta contro la malattia del suo amato padre, Nino. Attraverso le sue parole, emerge il ritratto di un uomo forte e instancabile, messo alla prova da una serie di eventi inaspettati che hanno segnato profondamente la sua vita e quella dei suoi cari. Questa storia è un tributo alla resilienza di Nino di fronte alle avversità, alla forza dell’amore familiare e alla capacità umana di trovare speranza e significato anche nei momenti più bui. È un racconto di dolore, amore e accettazione, che ci ricorda l’importanza del sostegno e del conforto reciproco nei periodi di difficoltà.

La storia del mio amato papà Nino iniziò la sera del 18 maggio 2023, quando improvvisamente, durante la cena, perse la capacità di parlare e svenne. Poco prima, al telefono, mi aveva detto di sentirsi stanco. Da circa un mese soffriva di stanchezza e confusione; un giorno, addirittura, telefonò a mia sorella dicendole di essersi perso mentre guidava in città. Convinto che fosse solo stress, non diede troppo peso a questi segnali, essendo lui un lavoratore instancabile.

Il 18 maggio, al pronto soccorso, ci informarono che mio padre aveva avuto un ictus emorragico. Trascorse l’intera notte in osservazione, attento e concentrato sul movimento della sola mano che riusciva a muovere, la sinistra. L’emorragia aveva colpito la parte sinistra del suo encefalo, rendendolo incapace di parlare e muovere il lato destro del corpo. Il giorno successivo, lo trasferirono all’ospedale Villa Sofia di Palermo, dove, dopo quattro giorni in terapia intensiva, venne spostato nel reparto di neurologia. Sebbene avesse recuperato il movimento della mano destra, era estremamente agitato, tentava di alzarsi e chiedeva spiegazioni su quanto accaduto. Ci fu detto che era normale sperimentare questi sintomi dopo un ictus. Circa dieci giorni dopo, ci comunicarono che era pronto per il centro di riabilitazione. Eravamo euforici, pronti a iniziare un percorso verso una nuova normalità. Tuttavia, al centro di riabilitazione, le cose non andarono come sperato: mio padre non mostrava miglioramenti. Capiva quando gli parlavamo, ci stringeva la mano, desiderava trascorrere più tempo con noi, ma potevamo vederlo solo per 45 minuti due volte a settimana, una limitazione che, alla luce di quanto scoprimmo in seguito, fu particolarmente dolorosa.

Il 3 agosto, il centro di riabilitazione avanzò il primo sospetto. Trasferimmo mio padre al reparto di Neurochirurgia dell’Ospedale Papardo di Messina, dove rimanemmo per circa un mese e mezzo. Dopo diverse risonanze e controlli, ci dissero che con il 99% di probabilità si trattava di un glioblastoma multiforme di IV grado, con un’aspettativa di vita tra i 3 e i 18 mesi. C’era un 1% di possibilità che fosse un ascesso incapsulato, conseguenza di un intervento per ernia inguinale subito ad aprile. L’ictus era stato causato dal tumore che aveva sanguinato. Decidemmo di sottoporre mio padre a un intervento chirurgico per effettuare una biopsia allargata, nonostante i grandi rischi. L’intervento confermò i sospetti. Generalmente, dopo una biopsia, i medici propongono l’accesso alle cure oncologiche, come la radioterapia. Tuttavia, a causa delle condizioni già compromesse di mio padre, ci sconsigliarono di procedere con la radioterapia.

Dopo le dimissioni, decidemmo di tornare a casa e prendere noi stessi cura di lui per il tempo che gli rimaneva. Era il 14 settembre e mio padre, essendo a casa, comprese che non c’era più nulla da fare. Gli dimostrammo tutto l’amore possibile, e lui, a sua volta, riuscì a esprimere ancora più amore con il solo sguardo e la stretta della mano. Ascoltava attentamente, annuiva e ci faceva capire che ci seguiva, seppur con difficoltà. Le ultime settimane furono le più dure: non eravamo più in grado di aiutarlo e lo vedevamo spegnersi giorno dopo giorno. Ci lasciò il 23 ottobre, a 66 anni, esattamente cinque mesi dopo l’ictus. Nessuno mai ci disse da quanto tempo il glioblastoma fosse presente nel suo corpo. Solo un mese prima dell’ict

us, mio padre aveva iniziato a manifestare i primi sintomi. Il destino decise per lui, facendogli iniziare questo percorso in uno stato di coscienza parziale. Nonostante le sofferenze atroci e la tristezza infinita di non voler morire, affrontò la malattia con la fierezza che lo contraddistingueva, trasmettendo a me, mia sorella e Lory (la sua compagna) l’idea che in qualche modo non stesse soffrendo. Si fidò di noi in tutte le scelte mediche, anche quando decidemmo per lui l’operazione. Ha sempre creduto nella scienza e nella medicina.

Scrivendo la storia di mio padre Nino, ho rivissuto quei mesi in cui trovavo conforto nelle storie pubblicate su questo sito. Ora comprendo l’importanza del confronto, specialmente nei momenti di grande sofferenza. Inevitabilmente la vita cambia, ma queste situazioni cambiano anche te stesso e il tuo approccio alla vita. Io, ad esempio, sto cercando di trasformare questa sofferenza in un amore più maturo e concreto per il prossimo e per la vita, proprio come mio padre mi ha insegnato.”