La Storia di Pino e del suo Glioblastoma

Ho ricevuto qualche giorno fa un email da Federica che è riuscita dopo un po’ di tempo e tante visite a questo sito web, a scrivere la storia del suo grande papà. La riporto integralmente perché è molto bella e e finisce con un messaggio molto importante e positivo.

“Per raccontare il mio papà (Giuseppe, per tutti solo Pino) forse dovrei scrivere un intero libro, ma non credo basterebbe. 

Un uomo con una mente brillante (a dir poco) che“si è fatto da solo”. Famiglia modesta quella dei miei nonni, ma di grandi lavoratori che lo mandano a faticare a soli 16 anni. 

Passa da camionista a titolare di un’azienda tutta sua. 

Lavora una vita, cresce con amore e dedizione due figli e all’apice della sua felicità si ammala. Mio figlio Gabriele aveva appena compiuto 3 mesi quando mi chiama mio fratello per dirmi che papà si era sentito male al lavoro, forse per un aneurisma. 

In ospedale ci dicono che devono operarlo subito o morirà. Dopo poche ore, per via traverse, conosciamo già la diagnosi: tumore maligno al cervello. 

Era il 5 giugno del 2020 ed il mio mondo è crollato in mille pezzi. 

Contro ogni aspettativa papà si sveglia dopo l’operazione e riconosce me e mio fratello. Non parla e la parte destra del suo corpo è paralizzata. Il tumore è stato rimosso, ma insieme al tumore si sono portati via anche una parte del suo cervello. 

Il giorno delle dimissioni un dottore senza tatto e senza un briciolo di umanità mi dice di informarci per le cure palliative, tanto per papà non ci sono speranze. 

Intanto papà viene portato in un centro di riabilitazione e riesce piano piano a recuperare in parte la parola e riesce a stare seduto. Nel mentre però le complicazioni sono tante: febbre altissima, infezioni alla ferita, nessuna memoria a breve termine, crisi di rabbia, perdita di consapevolezza nelle azioni. 

Del mio papone, fiero, audace, forte e coraggioso, un grande oratore, è rimasto poco o nulla. 

In ogni caso non molliamo, ci aggrappiamo tutti insieme (io, mia mamma, mio fratello, le mie zie ed i miei nonni) ad ogni singolo minimo miglioramento per conservare la speranza ed andiamo avanti. Io mi informo ovunque e trovo una dottoressa meravigliosa, una neuroncologa che mi dice: proviamoci. 

La chemioterapia però non si può fare finche continua ad avere la febbre. Allora portiamo papà a casa, curiamo la causa dell’infezione. Papà sta meglio, parla con noi, sembra anche abbastanza lucido. 

Non facciamo però in tempo a cominciare la chemio che una crisi epilettica lo riporta in uno stato semi vegetativo. 

A settembre 2020 lo ricoverano in ospedale, il reparto di un luminare a livello mondiale di tumori al cervello ci fa vedere di nuovo un po’ di luce. Lo rimettono un po’ in sesto e decidono di dirgli del suo tumore senza di noi visto che eravamo in pieno periodo COVID e non potevamo mettere piede in ospedale. Lui crolla emotivamente e rifiuta di fare la radioterapia. 

Lo riportiamo a casa per convincerlo ma quando si decide a curarsi, i dottori decidono di chiuderci la porta in faccia. Li convinco a conservare almeno la strada della chemio, tanto sono pastiglie che possiamo dargli noi a casa. Intanto interagisco con un uovo medico, non so se è possibile fare il suo nome ma credo che sarebbe davvero giusto menzionarlo dando ad altri la possibilità di conoscerlo: il Dottor Gramaglia che è stato l’unico a trattare papà come una persona che valesse la pena disalveare. Ho trovato in lui, oltre che grande competenza, soprattutto umanità, empatia, cordialità, sensibilità e grande grande disponibilità. 

Il mio papone fortissimo e determinato reagisce benissimo alla chemio e, complici la costante fisioterapia e la logopedia (ovviamente privata, visto che ad aspettare l’ASL non saremmo andati da nessuna parte), riesce a parlare un pochino, si alza in piedi con l’aiuto del deambulatore e muove qualche passo … riesce a godere di qualche momento di tranquillità insieme a noi. A mente lucida posso e devo comunque riconoscere che la situazione era in generale davvero complessa … papà spesso non controllava la sua rabbia, alternava scatti d’ira a momenti di vera depressione, mangiava a fatica, i suoi ricordi riaffioravano a sprazzi e la memoria a breve termine era quasi nulla. 

Intanto le risonanze di controllo dicevano che Lui, il glioblastoma era sempre lì, sembrava regredire ma c’era. Francamente, non sono mai riuscita a capire bene dove fosse la lesione: i medici mi hanno sempre e solo detto che interessava l’area della parola e del movimento e che, in ogni caso, non sarebbe stato possibile sconfiggerlo. Ma, a dirla tutta, non era l’aspetto che ci spaventava di più. Ciò che ci distruggeva era vedere papà soffrire e spegnersi giorno dopo giorno. La sua lucidità, seppur minima, gli consentiva di comprendere ciò che gli era accaduto e disperarsi per quello che non aveva e non avrebbe avuto mai più. Questa è sicuramente la conseguenza più dura del glioblastoma. 

Tuttavia finchè c’è vita c’è speranza e quindi ci abbiamo provato, fino alla fine. Ma la bestia fa così, sembra darti delle speranze e poi di colpo ritorna. 

A primavera 2021 papà inzia a peggiorare, dapprima lentamente poi in modo vertiginoso. Il braccio non si muove più, fa fatica a stare seduto, non riesce a comunicare. Il tumore è cresciuto, tanto. 

Ci propongono l’intervento chirurgico, lo programmiamo per metà maggio a Monza … ma nel giro di pochi giorni le condizioni di papà peggiorano drammaticamente. Rinunciamo all’intervento, iniziamo le cure palliative. La sofferenze e lo sconforto sono così immensamente forti che non saprei neppure come descriverle. 

Gli stiamo accanto, lo rassicuriamo, lo baciamo, lo abbracciamo … dicono che ci vorrà un mese o poco più e invece papà vola via in pochi giorni, il 26 maggio 2021. Una settimana prima scopro di aspettare un bimbo, ma il ginecologo mi dice che era un aborto certo.  Il giorno dopo la morte di papà gli esami dicono invece che il piccolo ce la stava facendo, contro ogni aspettativa, cresceva dentro di me una nuova vita. Il 23 dicembre 2021 è nata Ludovica (un nome che piaceva tanto a papà), forte e coraggiosa come il suo nonnino, sorride sempre e i suoi grandi occhi azzurri hanno ridato un senso alle nostre vite. 

Da atea posso affermare con certezza che papà è volato via per lasciare il posto a Ludo, dandoci un motivo per andare avanti e ricordandoci che la vita, anche se dura, vale la pena di essere vissuta, sempre.”