Il sogno dell’abbraccio

Il sogno dell’abbraccio

La notte scorsa ho fatto un sogno.
Di quelli che non sono solo immagini, ma incontri.
Un sogno che resta, che consola, che trasforma.

Camminavo lungo il crinale di una montagna.
Sospeso tra il cielo e la terra, tra l’aria sottile dell’altezza e la forza della roccia sotto i piedi.
Poi, il sentiero ha iniziato a scendere, e con passo sicuro sono arrivato alla base, dove mi aspettava un lago.
Le sue acque ferme, profonde, silenziose. Come uno specchio dell’anima.

Da un altro versante, una vettura scendeva anch’essa dalla montagna.
L’ho vista finire nel lago, e senza esitazione mi sono precipitato per salvare chi era dentro.
Ho raggiunto l’auto. Non affondava.
L’ho guidata io stesso fino all’altra sponda, spinto dal desiderio di proteggere, di arrivare dall’altra parte, di non lasciare nessuno indietro.

E lì, sulla riva opposta, in un villaggio sperduto che sembrava fuori dal tempo e dallo spazio, mi sono seduto.
Emanuele è venuto a trovarmi.
Era lui.
Mio figlio.
Così come lo ricordo, così come continua a vivere nel mio cuore.
Ci siamo abbracciati.
Un abbraccio pieno, vero, che dice tutto quello che le parole non sanno dire.
Emanuele, che non sognavo da tanto tempo, è tornato.

La sera prima avevo acceso delle candele per lui.
Un piccolo gesto, una luce nella notte.
Forse è stata quella luce ad aprire la porta.
Forse è stato l’amore, che non si spegne mai.

Non so se questo sogno sia un messaggio, un ricordo, una visita.
So però che è stato reale, nel modo in cui solo l’amore riesce ad esserlo.
So che quell’abbraccio resterà con me.
E che, anche nel buio, anche quando il dolore torna a farsi sentire, c’è un villaggio sperduto dentro di me dove possiamo ancora incontrarci.

E lì, ogni volta che ne avrò bisogno, tornerò.